ORESTEA NELLO SFASCIO

testo e regia di Terry Paternoster
con Venanzio Amoroso e Patrizia Ciabatta
assistenti: Eleonora Cadeddu, Pierfrancesco Rampino
luce: David Barittoni
scenotecnica: Ambramà
produzione: Officine del teatro italiano
in coproduzione con Florian Metateatro Centro di produzione Teatrale
con la partecipazione e il sostegno di Internoenki Teatro Incivile
si ringrazia la Maison di Alta moda Stefano Blandaleone - Casale Monferrato (AL)

 

SINOSSI
Oreste torna a casa dopo un lungo confinamento imposto dalla madre a
causa della sua omosessualità marchiata a pelle. Dopo anni di esilio forzato,
Oreste è costretto a rivedere la sua famiglia per via di un terribile e inaspettato
evento: la morte di suo padre, scomparso prematuramente in circostanze
poco chiare. Oreste ritrova sua madre devastata dal peso dei debiti e
dell’usura, e per di più precipitata in un totale sfascio di valori. Grazie al
confronto con sua sorella, la sua percezione del senso della vita subirà un
mutamento, che lo porterà alla riscoperta di una nuova identità. Un evento
inaspettato scoperchierà la coltre del silenzio, che l’ha tenuto buono per
troppo tempo, rivelandosi in un orrendo e tragico atto finale. “Orestea nello
sfascio” racconta le derive della nostra società, corrotta e rassegnata; ed è
ambientata nel cuore dell’Altra Terra dei Fuochi, dove Elettra e Oreste sono al
centro di un intrigo di scandali sessuali, omicidi mafiosi e rifiuti tossici.

IL PERCORSO DI RICERCA
“Orestea nello sfascio” nasce da un percorso di ricerca che si è sviluppato
attraverso tappe di laboratorio-residenza, presso il Dipartimento di Arti visive,
Performative e Mediali dell'Università diBologna (DAMS), il CSS Teatro Stabile
di Innovazione del Friuli Venezia Giulia, L’Università LA SAPIENZA di Roma e
l’Università dell’Aquila, con il fine di approfondire, di volta involta, nuovi
risvolti del rapporto tra il Mito e i suoi riverberi nel contemporaneo.

NOTE DI REGIA
IL TEMA
"Orestea nello sfascio” è un affondo nella materia drammatica dell'unica trilogia tragica a noi
pervenuta, l'Orestea di Eschilo. Addentrandomi tra le fila di un'opera capitale per la letteratura
drammatica mondiale, non ho voluto riproporre necessariamente un'ulteriore e aproblematica
interpretazione della fabula (l'orrendo ciclo di delitti che culminano con la pazzia di Oreste), ma
penetrare nella decadenza dell'inconscio collettivo, in cui si inserisce lo sfascio e la crisi di valori
della nostra società. È da qui che muove il progetto, proponendosi di sondare, attraverso la
prassi teatrale, la relazione di un'intera collettività con la crisi sociale, politica ed economica.
L’intento finale è dunque di interrogare il nostro reale, per provare a capire cosa si cela dietro la
precarietà delle emozioni che asfissiano il nostro quotidiano, per smuovere l'indifferenza e
pilotarla verso il cambiamento.

LA MACCHINA TEATRALE
Ho desiderato fortemente proseguire, con questo progetto, il percorso di ricerca iniziato con
“MEDEA BIG OIL”, spettacolo vincitore della XIV ed. del Premio Scenario per Ustica,
riconfermando la mia vocazione per l’indagine di matrice antropologica, con l’intento di
analizzare, da un nuovo punto di vista, il comportamento socio-culturale di una famiglia che cade
in rovina schiacciata dal peso dei debiti. Anche qui, la madre è una figura chiave come in MEDEA
BIG OIL, ma non appare come una donna rassegnata che si abbandona agli eventi; è una finta
bigotta che nasconde un terribile crimine dietro la maschera del "va tutto bene grazie": qui la
madre rappresenta il riverbero malsano di una società corrotta sin dal basso.
Se in MEDEA BIG OIL lo scenario era la Basilicata, martoriata dalle multinazionali del petrolio, qui
si puntano i riflettori nel cuore della Puglia, L'Altra Terra dei Fuochi, dove Elettra e Oreste sono
due fratelli al centro di un intrigo di scandali sessuali, omicidi mafiosi e rifiuti tossici.
Durante le tappe di laboratorio ho lavorato principalmente sulla coralità; ed è proprio dall'analisi
della funzione narrativa del coro e del buffone contemporaneo che sono arrivata all’esigenza di
una sintesi fisico-espressiva, di matrice più intimistica e privata che collettiva e corale. Il corpo
del coro scompare, ma continua a vivere nella paura del giudizio che affligge i due protagonisti:
due fuochi che si muovono intorno ad una macchina: una struttura astratta, il cui valore
semantico si fa strada col gesto e il movimento degli attori che lo fanno esistere come "atto"
simbolico. Un omaggio al fatidico monolito di Kubrick in 2001 Odissea nello spazio e alla scala di
Caronte, quella macchina teatrale che consentiva agli attori greci di rappresentare la discesa
sottoterra, cioè il luogo che, nella finzione teatrale, coincideva con l’oltretomba.

IL PECCATO ORIGINALE
Ispirandomi ai principi della Fisica quantistica, secondo cui si deduce che esistiamo se esiste un
soggetto osservatore che ci fa diventare "atto", ho scelto di soffermarmi su un concetto che
prolifera da tempo nella mia mente come un disturbo micotico: il dubbio amletico dell'essere o
non essere. Ho trasferito il disturbo al protagonista e ho cercando di sviscerare cosa c’è alla base
del rapporto dialettico che innesca il meccanismo del dubbio esistenziale. Mi sono resa conto
che cercare questa risposta può portare alla pazzia. Siamo nell'epoca del tutto è il contrario di
tutto, il problema è che dubitare di tutto non ti fa credere più a niente. E' questo il punto di
partenza del percorso psicologico dei protagonisti. Due anime smarrite nel caos
dell'informazione, due ragazzi di oggi che non credono in nulla, due vite che non investono più
fiducia nella giustizia divina, né tanto meno in quella dei tribunali. Due giovani a cui hanno
ammazzato il futuro, non solo un padre. Due fuochi riuniti in un tragico "atto" finale: Oreste è il
braccio, Elettra la mente; l"atto" è la vendetta di una generazione alienata dal marketing,
soffocata dal debito, vittima di un peccato originale ereditato dai padri.

ORESTE E AMLETO
Rivisitando il mito, ho inoltre messo a confronto altre due anime: Oreste e Amleto, due facce
della stessa medaglia. Al contrario di quanto accade ad Amleto, il dubbio esistenziale di Oreste,
qui consegue, anziché precedere la vendetta: il piatto che Shakespeare servirebbe freddo.
Se il mondo macroscopico che viviamo e sperimentiamo con l'esperienza soggettiva sembra
dominato da leggi inderogabili che lo rendono solidamente reale, il mondo microscopico sembra
avvolto nella nebbia fitta dell’indeterminazione. Allora il dubbio permane, non si risolve: Essere o
non essere? L’interrogativo esistenziale del vivere (essere) o morire (non essere), che è alla radice
dell'indecisione che impedisce ad Amleto di agire, si rivelerà, in Oreste, come atto finale di una
vendetta istintiva: un raptus.

IL CROLLO DEI PUNTI FERMI
Lo spettacolo è un pretesto per denunciare il crollo totale dei punti fermi, dei riferimenti, la
condizione di smarrimento dell'essere umano che sorregge la piramide sociale; è quindi
un’occasione per condividere con il pubblico non solo il dubbio dell'esistenza, in cui il potere
politico è il soggetto osservatore che determina l'atto del nostro esistere, ma anche alcune
riflessioni sul concetto di giustizia: se per i greci era necessario istruire la polis ad una nuova idea
di giustizia, istituendo il primo tribunale umano, oggi rimane il dubbio sulla riuscita degli intenti
dei nostri antenati. La giustizia potrebbe dunque divenire in questa logica un mero punto di vista,
in cui l’atto vendicativo, in alcuni contesti potrebbe per assurdo diventare “un altro modo per dire
GIUSTIZIA”. Un esempio potrebbe essere il desiderio delle nuove generazioni di rivendicare il
loro futuro, schiacciato e ucciso dagli interessi dei potenti del mondo. L'intento non vuole essere
in nessun modo una forma di istigazione a delinquere o esortazione alla violenza. Ho cercato di
portare in scena questo percorso che gradualmente condurrà lo spettatore ad una condizione di
catarsi. L'umanità è in pericolo e ciò che possiamo ancora fare è stimolare con l'arte lo spirito
critico per riappropriandoci della realtà.

L'UTOPIA
Per cambiare l'oggi ci volgiamo indietro, ai passi che abbiamo compiuto, al mito. Un mito che
continua instancabilmente a dirigerci, seppur calato in un contesto sociale nuovo. A rimanere
totalmente invariato è il peso latente di un peccato originale che si tramanda di famiglia in
famiglia, di generazione in generazione, di popolo in popolo. Attraverso gli occhi di Oreste,
parteciperemo al sogno di creazione di una nuova coscienza collettiva. Anche se l'utopia è
spesso lo smascheramento più violento della cancrena del nostro mondo.

RINGRAZIAMENTI
Grazie alla produzione Officine del Teatro Italiano e Florian Metateatro, grazie ai colleghi e
compagni di vita del Collettivo Internoenki e grazie a tutta la squadra di professionisti coinvolti
nel progetto. Un grazie speciale ad Alessandro Longobardi che ha creduto e sostenuto con
grande forza la produzione. Grazie a Germana Giorgerini che ha seguito passo dopo passo e
con scrupolosa attenzione tutte le esigenze artistiche e tutte le fasi della produzione. Grazie a
Giulia Basel e Massimo Vellaccio, per la fiducia aritistica e per la coproduzione. Grazie a
Eleonora Cadeddu e Pierfrancesco Rampino, due preziose figure del Collettivo Internoenki che
mi hanno aiutato ad organizzare e a gestire il lavoro di messa in scena. Grazie a Patrizia Ciabatta
e Venanzio Amoroso, due attori straordinari, che oltre al talento hanno mostrato un profondo
impegno civile, condividendo coraggiosamente la politica del Collettivo Internoenki e le
tematiche del progetto. Grazie a tutti coloro che in questi mesi hanno partecipato al processo
creativo, fra cui Valentina Vitagliano, attrice che collabora da sempre con Internoenki, Davide
Pandolfo. Grazie a Mariastella Cassella per il suo prezioso intervento nelle tappe di laboratorio.
Un grazie speciale ad Alessia Iacopetta, Michele Degirolamo, Enoch Marrella, Gianluca Preite,
Mauro Cardinali, Davide Lorusso, Giuseppe Messina e Francesco Zaccaro, per il loro vigore
attoriale e per lo straodinario apporto artistico al progetto. Grazie a Savio Cannito, Miguel
Candido Repolles, Cristian Marangi per il prezioso confronto sulla linea narrativa e sulla
rivisitazione del Mito. Grazie a David Barittoni per il confronto sulle scelte estetiche della messa
in scena e per lo studio della luce. Grazie ad Ambràmà per la realizzazione della macchina
scenica. Grazie a Rossella Oppedisano e Francesca Romana D'Urso che hanno realizzato i
costumi nelle fasi di studio. Grazie a Marzia Spanu per il sostegno alla comunicazione e a tutta la
squadra che ha contribuito a rendere possibile questo piccolo atto rivoluzionario. Come direbbe
Maurizio Grande, uno dei padri della semiotica teatrale: Il teatro è un fare, un fare insieme, un
fare collettivo. La scena è una pagina tridimensionale di scrittura. Il mio augurio è che si possa
scrivere un’altra pagina di teatro, insieme.

Terry Paternoster/Collettivo Internoenki

PRIMO STUDIO: Laboratorio con gli allievi dell'Università degli studi di Bologna DAMS - aprile 2016 

SECONDO STUDIO: Laboratorio con gli allievi dell'Univerità La Sapienza di Roma - giugno 2016

TERZO STUDIO: Laboratorio c/o CSS UDINE Teatro Stabile di Innovazione FVG - novembre 2016

QUARTO STUDIO: Laboratorio con gli allievi dell'Università degli studi dell'Aquila - febbraio '17

QUINTO STUDIO: Laboratorio con Michele De Girolamo, Patrizia Ciabatta, Alessia Iacopetta marzo '17